‘Senti Oh’: l’ansonica gigliese tra passato e futuro

La corporatura massiccia di Giovanni, i lineamenti mediterranei, quasi arabi, il sorriso cordiale, lo fanno apparire come il gigante buono delle favole; il modo con cui ti accoglie, cadenzato, quasi pigro, è quello che poi ti coinvolge, una maniera tipica dell’indole isolana, dove i ritmi sono lenti, ritmiai quali ti arrendi facilmente.

Poi, vedi Giovanni all’opera nelle sue vigne, lo senti parlare del suo lavoro con passione, lo ascolti nella descrizione dei suoi vini, ed è come tuffarsi nelle tradizioni più genuine dell’Isola del Giglio.

Giovanni Rossi è un gigliese doc: ama la propria terra, la propria gente, le proprie tradizioni.

Si laurea in Economia e Commercio e lavora come Commercialista per sette anni; poi, nel 2009, decide di dedicarsi esclusivamente alla produzione di vino insieme al fratello Simone.

Una decisione maturata nel tempo, da quando, diversi anni prima, aveva acquistato una piccola vigna che curava per passione; fu lì che comprese come una tradizione millenaria dell’Isola del Giglio, la viticoltura, andava perdendosi, con tutto il relativo contesto sociale e conviviale che questa attività comportava.

La viticoltura all’Isola del Giglio è cosa difficile: piccoli appezzamenti su terreni scoscesi fatti di terrazzamenti con muri a secco di pietre di granito, la roccia con cui è composta quasi per intero l’isola; lo stesso granito, questa volta in forma di sabbia, riempie quel poco profondo strato delimitato dai terrazzamenti.

Le vigne sono spesso difficilmente raggiungibili con i mezzi di trasporto e tutto il lavoro si svolge manualmente, per l’impossibilità di usare mezzi agricoli: all’ingresso di ogni vigna vedi quello che potrebbe essere il simbolo di questa viticoltura che viene etichettata ‘eroica’, la zappa, che il vignaiolo lascia lì, appoggiata a terra, come a guardia del vigneto.

In queste vigne non mancano i segni del tempo, perché all’Isola del Giglio l’uva si coltiva dall’epoca degli Etruschi e dei Romani, come stanno a testimoniare le decine di palmenti esistenti all’interno delle vigne, le vasche scavate nel granito utilizzate per la spremitura dell’uva, alcune risalenti proprio a quell’epoca.

L’altro elemento che caratterizza la viticoltura dell’Isola del Giglio è il vitigno utilizzato, l’ansonica: un vitigno forse originario della Grecia o del Medio Oriente, probabilmente introdotto dai Normanni in Sicilia intorno all’XI secolo, qui conosciuto come inzolia; si diffuse successivamente sulle coste tirreniche, in particolare sule isole.

Al Giglio l’ansonica trova il suo habitat ideale per la sua fase vegetativa e maturativa: vicinanza al mare, notevole esposizione solare, temperature elevate e limitate precipitazioni, sono le condizioni che consentono all’uva di esprimersi al meglio.

Fontuccia è il nome della vigna dove tutto è iniziato: un appezzamento di poco meno un ettaro, un piccolo anfiteatro con terrazzamenti declivi che guardano a sudovest; Fontuccia è il nome dell’Azienda che Giovanni e Simone hanno creato e con la quale hanno iniziato a vinificare in proprio nel 2009.

Fin dall’inizio i fratelli Rossi si sono affidati alla consulenza enologica di Valentino Ciarla del gruppo Matura; da allora la vinificazione delle uve che crescono esclusivamente nelle vigne gigliesi, avviene sull’Isola, con una produzione autoctona che i fratelli amano sintetizzare con la formula ‘dalla zappa al bicchiere’!

Oggi l’Azienda lavora circa 5 ettari di vigneti sparsi per l’isola: la Fontuccia e un altro appezzamento di recente impianto, le Grotte, si trovano nella parte nordoccidentale dell’isola, quella che guarda il Golfo del Campese e l’Isola di Montecristo.

Le vigne che lasciano senza fiato per la posizione, che appaiono come sospese tra mare e cielo, sono quelle nella zona di Capel Rosso, la punta meridionale dell’isola, nel pieno della zona più selvaggia del Giglio, sicuramente la più vocata per la viticoltura.

Una piccola quantità di vino rosso proviene dalla coltivazione di vecchi vigneti con vitigni vari, alcuni dei quali autoctoni, di origine incerta e identità sconosciuta: una coltivazione che i Fratelli Rossi hanno voluto mantenere sempre nel segno della tradizione.

Il grosso della produzione, circa diecimila bottiglie, si basa sull’ansonica ed è volta ad esaltare le peculiarità del vitigno, sia per la vigna di provenienza che per la tipologia di lavorazione in cantina: l’obiettivo è quello di trovare una sintesi tra tradizione e gradevolezza.

Senti Oh!’ è il classico intercalare che il gigliese pronuncia quando le proprie papille gustative vengono stupite da qualcosa di veramente gustoso, ma esprime al contempo una vena ironica: è questo il nome della gamma di vini secchi a base di ansonica dell’Azienda, esclusivamente lavorati in acciaio.

La tipologia ‘Vitigni’ riporta le piacevoli essenze di fondo dell’ansonica, con predominanti note floreali e fruttate, in quanto le uve provengono dai vari vigneti, mentre ‘Fontuccia’ esprime il vino della maturità, per le uve raccolte dalle viti più vecchie e con esposizione migliore nella vigna ‘storica’.

Caperrosso’ è il crù che consente di apprezzare la natura del vitigno quando è sottoposto all’esposizione più estrema: potere assaggiare le annate passate consente di scoprire inaspettati profumi terziari dovuti all’evoluzione in bottiglia.

Nantropo’’ è sempre un’espressione tipica gigliese, come per dire ‘Ancora un po’, è troppo buono!’; e quale migliore espressione poteva essere usata come appellativo per il piacevolissimo passito di ansonica, ottenuto dalle uve appassite su graticci e poi lavorate: anche questo vino è testimone della tradizione isolana nella produzione del vino dolce per le feste.

Ma Giovanni e Simone Rossi continuano a stupirci con una nuova versione del loro vino da uva ansonica, questa volta macerata per sei mesi in anfora e per la prima volta prodotta con la vendemmia 2019: un vino che appena imbottigliato offre attrattiva, ma che sicuramente il tempo saprà rendere molto intrigante.

Anche in questo caso il nome ‘Cocciuto’ è curioso: al di là del riferimento relativo alla modalità di lavorazione, può esprimere l’immagine di ostinato, caparbio.

Per chi è abituato a vivere su una piccola isola, l’ostinatezza e la caparbietà sono da considerare esclusivamente attitudini che si acquisiscono per superare le maggiori difficoltà che esistono rispetto al vivere sulla terra ferma: la caparbietà e la determinazione diventano poi doti indispensabili se su un’isola si vuole trarre il meglio dai frutti della terra.

Le stesse caparbietà e determinazione che Giovanni e Simone impiegano per mantenere viva una tradizione millenaria come quella di fare il vino sull’Isola, da sempre collante indispensabile della socialità e della convivialità gigliese.

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